Oggi la nostra Caritas ha vissuto il Giubileo alla Basilica di Sant’Antonino a Sorrento.
Ci siamo insieme messi in cammino con i poveri, come poveri. Questo pellegrinaggio non è stato solo fisico ma un percorso di vita che ci ha coinvolti completamente per rinnovare insieme la fiducia nel Signore della Vita che è sempre vicino a chi è debole e per rinnovare tra noi la fraternità partendo da ciò che ci accomuna, la dignità di figli di Dio.
Dopo aver percorso insieme un breve tratto di strada, che però evoca tanti passi che quotidianamente percorriamo insieme per stare accanto…, costruire…, essere solidali…, siamo giunti alla Basilica di Sant’Antonino e abbiamo attraversato la Porta Santa.
Abbiamo vissuto insieme una Celebrazione Eucaristica bella, intensa, ricca di segni che narrano dei doni, delle gioie, delle fatiche, dei dolori vissuti da tanti nostri fratelli e sorelle che vivono nel bisogno, che attraversano situazioni difficili dove il buio sembra voler prevalere e noi, lì riuniti intorno alla mensa del Signore, come operatori della carità, come fratelli e sorelle in Cristo, abbiamo preso l’impegno di essere tessitori di amore, pace, unità.
La liturgia odierna è stata veramente provvidenziale. Nella seconda lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (2Cor 12,1-10), che abbiamo ascoltato, l’apostolo compone addirittura un inno alla debolezza che, se è vissuta come un cammino pasquale, può diventare addirittura un luogo in cui si fa sentire la forza di Dio.
Il nostro Vescovo Don Franco, che ha presieduto l’Eucaristia, ha sottolineato che la debolezza, la fragilità, la povertà, accomuna tutti. Tutti siamo deboli. Nella fragilità, nella debolezza si adombrano valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza e di dignità, di comunione con il destino di sofferenza di chi sta male.
Ci sono povertà economiche, povertà del corpo, povertà spirituali, povertà dell’anima. Ci sono povertà che ci passano accanto nella vita di ogni giorno, e non è facile riconoscerle. Sono povertà, sono fragilità che gridano nel silenzio dell’anima, e sono udite solo quando ci sono in noi sensibilità e attenzione. Noi siamo chiamati a riconoscere queste fragilità, le fragilità che vivono segrete nel cuore delle persone nei diversi luoghi della loro vita e riconoscere le povertà e le fragilità che sono in noi. È proprio la fragilità a dischiudere il nostro cuore alla gentilezza e alla tenerezza, alla comunione e alla solidarietà, alla preghiera.
Siamo chiamati a toccare le piaghe di chi è nel bisogno e quando lo facciamo ci accorgiamo della nostra piaga, è questa la grazia che ci danno i poveri, sapere che anche noi siamo vulnerabili e quindi siamo tutti bisognosi di salvezza, di qualcuno che ci dica una parola buona, ci doni un sorriso, un aiuto.
Al termine dell’Eucaristia ci è stato consegnato un segno, un’àncora, simbolo della speranza che nasce dalla fede e dalla fiducia in Dio e della speranza che siamo chiamati a donare… Nello stesso tempo siamo stati invitati ad essere l’ancòra di Dio nel nostro mondo: ancora nel servizio…, ancora nell’amore…, ancora nella solidarietà… senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o si senta escluso.
suor Rossella D’Aniello







































































