Michela Marzano – Volevo essere una farfalla

Michela Marzano è un’affermata filosofa e scrittrice, un’autorità negli ambienti della società culturale parigina. Dalla prima infanzia a Roma alla nomina a professore ordinario all’università di Parigi, passando per una laurea e un dottorato alla Normale di Pisa, la sua vita si è svolta all’insegna del “dovere”. Un diktat, però, che l’ha portata negli anni a fare sempre di più, sempre meglio, cercando di controllare tutto. Una volontà ferrea, ma una costante violenza sul proprio corpo. “Lei è anoressica” le viene detto da una psichiatra quando ha poco più di vent’anni. “Quando finirà questa maledetta battaglia?” chiede lei anni dopo al suo analista. “Quando smetterà di volere a tutti i costi fare contente le persone a cui vuole bene” le risponde. E ha ragione, solo che è troppo presto. Non è ancora pronta a intraprendere quel percorso interiore che la porterà a fare la pace con se stessa. “L’anoressia non è come un raffreddore. Non passa così, da sola. Ma non è nemmeno una battaglia che si vince. L’anoressia è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa male dentro. (…) Oggi ho quarant’anni e tutto va bene. Perché sto bene. Cioè… sto male, ma male come chiunque altro. Ed è anche attraverso la mia anoressia che ho imparato a vivere. Anche se le ferite non si rimarginano mai completamente. In questo libro racconto la mia storia. Pensavo che non ne avrei mai parlato, ma col passare degli anni parlarne è diventata una necessità.”
La recensione di IBS
“Peso”, “pesante”, “pesare”
Per anni, ho fatto di tutto per diventare leggera come una farfalla. E ci sono quasi riuscita. In termini di chili, s’intende. Perché per il resto, la vita è stata spesso “troppo pesante”. È stato pesante dover essere la più brava. È stato pesante cercare sempre di adattarmi alle aspettative altrui.
Michela Marzano, affermata filosofa, sceglie in questo testo di abbandonare saggi e scritti per raccontarci la storia della sua vita. Giovane donna appena quarantenne, affermata docente all’università di Parigi, decide in queste pagine di narrare l’esperienza che ha più profondamente segnato la sua vita, il passaggio attraverso una malattia: l’anoressia. Michela racconta della sua infanzia, delle promesse di una mamma che troppo presto si è allontanata, delle assenze. Descrive i tempi della scuola media e le prime attenzioni. Poco importa se sono quelle di un uomo di quarant’anni, di uno dei suoi professori. Non fa niente, purché facciano sentire importanti. Perché “Vuol dire che esisto. Che non sono trasparente”.
A questi seguono gli anni del liceo, i pianti per i compiti di latino non perfetti, della sua continua ricerca della perfezione, degli studi per vincere il concorso alla Normale di Pisa.
L’impegno per andare via di casa, a tutti i costi, unico modo per sfuggire al fallimento, per dimostrare di essere la più brava, per costringersi e sforzarsi di essere la migliore, per essere la persona perfetta che suo padre voleva che fosse e per soddisfare le aspettative degli altri.
“Peccato che, nel frattempo, avessi cominciato a sentirmi in colpa quando mangiavo.
E peccato che nel giorno della sua laurea il suo peso fosse di appena 35 chili: “Le ossa appuntite. I capelli corti corti.” perché aveva iniziato a perderli.
Nel suo impegno esclusivo per raggiungere la perfezione e ottenere successi, ci racconta anche delle punizioni per ogni cibo ingerito, del calcolo ossessivo delle calorie assunte a ogni porzione di torta e il conteggio delle vasche in piscina per poi smaltirle tutte.
Michela riesce a offrire una testimonianza sincera delle fragilità di una giovane donna, del desiderio di attenzioni, della sua silenziosa richiesta di aiuto. E ci mostra anche il coraggioso cammino per affrontarle, quello che ha percorso lei, nel corso degli anni, per sconfiggere la malattia e il senso di disperazione e inadeguatezza: le sedute dall’analista, i gruppi di mutuo aiuto, le difficoltà. Fino al giorno in cui ha detto basta. Basta “onnipotenza”, basta perfezione.
Il giorno in cui ha iniziato ad acquisire consapevolezza di ciò che davvero l’avrebbe aiutata nel suo percorso: riconoscere i propri limiti, le proprie paure, le proprie sofferenze. Guardarle e accettarle, perché non tutto può essere controllato, perché le sconfitte, “gli imprevisti, le delusioni, i tradimenti… fanno tutti parte della vita. Capita. Succede”.