Nel mondo 6 donne su 10 sono vittime di violenza spesso a opera di mariti e familiari. Secondo una recente inchiesta delle Nazioni Unite, in Italia ogni settimana muoiono in media 3 donne a causa di questa violenza e 2 milioni e 77 mila hanno subito atti di stalking. A volte questi casi finiscono sulle pagine di tutti i più noti quotidiani ma, assai spesso, si ritagliano un trafiletto nella stampa locale e sostanzialmente “non fanno notizia”. Stupisce la facilità con cui due, tre, a volte quattro omicidi quotidiani vengono incolonnati nella fila delle notizia in breve, magari con un po’ più di spazio se la notizia è sufficientemente “gustosa” – tipo il carabiniere che uccide con l’arma di ordinanza la ragazza mentre a casa la convivente incinta lo aspetta, una specie di Match Point all’italiana, a canone inverso- e impagina le altre morti, percosse, minacce a far da cornice nella pagina “a tema”.
Quale tema? La mano più grande che gira il polso a quella più piccola, le braccia più forti che soffocano con un cuscino chi non ha la forza fisica per reagire, la voce più grossa che spaventa, ricatta, perseguita e quasi sempre, alla fine, lascia dietro di sè il silenzio. I maltrattamenti domestici in tutto il mondo sono pane quotidiano per oltre 600 milioni di madri, mogli, figlie. Mentre almeno 60 milioni di bambine vengono costrette a sposarsi e oscilla tra i 100 e i 140 milioni il numero delle donne e delle ragazze che subiscono ogni anno mutilazioni genitali. A tutto questo, se non bastasse, si aggiunga poi che ogni 90 secondi una gestante muore durante una gravidanza o un parto.
E proprio alla difesa dei diritti delle donne che Shirin Ebadì , Premio Nobel per la Pace nel 2003, ha dedicato un’intera vita. Abbiamo avuto modo di vederla, al margine della presentazione del nuovo libro di Marisa Paulucci (Tre Donne Una sfida, Edizione EMI, in uscita nel 2012) grazie alla mediazione del Telefono Rosa.
Shirin Ebadì è una signora distinta e pacata che oggi vive in esilio a Londra, dopo che la polizia del regime le ha arrestato il marito, sequestrato tutti i beni e le ha impedito di esercitare l’avvocatura perché, secondo l’Ayatollah, “una donna non può giudicare un uomo”.
“Per cambiare questa situazione -mi dice- dovrebbero cambiare le leggi ma, ancora prima, la mentalità delle persone. Perché se è vero che in molti stati ci sono ancora leggi che favoriscono la violenza contro le donne o la loro segregazione, sono molti di più gli stati dove sono la mentalità e la cultura a ritenere le donne come subalterne”.
Anche qui in Italia, il cosiddetto Delitto d’Onore è stato abolito soltanto nel 1981.
“In Iran la vita di una donna vale ancora la metà della vita di un uomo, perché non solo se io vengo scoperta da mio marito con un altro uomo, mio marito può uccidermi e rimanere impunito; ma se io e mio fratello abbiamo un incidente automobilistico, il suo risarcimento sarà il doppio del mio. Si parla sempre -ed è giusto farlo- delle violenze a carattere fisico e sessuale nei confronti delle donne, ma bisognerebbe sottolineare anche tutte le discriminazioni e le problematiche sociali”.
Quanto le religioni hanno influenzato tutto questo?
“Le religioni non sono mai una brutta cosa, è l’interpretazione che l’uomo gli dà a renderle orrende”.
Quanto per lei i nuovi mezzi di comunicazione, come internet e i social network, stanno smuovendo le nuove generazioni?
“Le ragazze di Teheran navigano su internet con regolarità oramai – risponde- Quindi hanno il cervello scisso in due: ragionano all’occidentale, amano i piercing e i Tokyo Hotel come qualsiasi altra adolescente italiana o inglese, ma poi escono di casa e indossano l’hijab (il velo con cui coprono il capo. Nda), vivendo in un perenne stato di frustrazione psicologica”.
In moltissime altre parti del mondo. Anche le più insospettabili, con una mentalità pericolosamente omertosa e una specie di colpevole pudore: non si dice. Per esempio, al Chelsea hotel, al centro di New York una decina di targhe celebra le vite geniali e maledette che si sono consumate lì. Dylan Thomas, Bob Dylan, Allen Ginsberg, Arthur C. Clarke che ci scrisse ‘Odissea nello spazio’.
Nessuna però ricorda la ragazza uccisa da Sid Vicius nella stanza numero 100. Aveva vent’anni, era bionda, si chiamava Nancy Spungen.