Gli ultimi dati giunti raccontano di circa 827 detenuti positivi al Covid in 76 istituti di pena e 1.019 agenti in 139 istituti. Risulta che il virus abbia raggiunto anche quelle sezioni del 41 bis che – secondo quanto riferito dal Ministro della Giustizia e da alcuni Procuratori della Repubblica durante la prima ondata dell’epidemia – erano da considerarsi luoghi sicuri. Il virus non si è fermato neppure dinanzi ad alcuni di quei bambini che purtroppo crescono dietro le sbarre seguendo il destino delle loro madri.
Luigi Manconi in un articolo di qualche giorno fa ha dichiarato: “se i ventuno parametri utilizzati dal governo per tracciare la mappa cromatica del contagio Covid fossero applicati anche al sistema penitenziario italiano, il rosso non basterebbe a segnare lo stato di allarme pandemico: servirebbe una tonalità di colore più violenta”.
Il problema del sovraffollamento delle carceri impedisce o limita drasticamente ogni tentativo di porre un argine al dilagare della pandemia.
In carcere non esistono spazi ove poter isolare i detenuti risultati positivi al contagio e all’interno delle celle è impossibile rispettare il distanziamento di un metro imposto nel mondo di fuori. Ad aggravare una situazione, già di per sé di complessa gestione, contribuisce l’atteggiamento di totale indifferenza da parte di tutte le Autorità che avrebbero dovuto gestire questa pandemia tentando di limitarne i danni.
Un grido di allarme si è levato dalle associazioni dei familiari dei detenuti, dai Garanti, dai Cappellani degli istituti penitenziari, dagli esponenti del Partito Radicale i quali – a partire da Rita Bernardini – stanno facendo lo sciopero della fame per sensibilizzare l’opinione pubblica e le Istituzioni sul tragico rapporto tra Covid e carcere. Il Ministro Bonafede ha sostenuto che all’interno degli istituti i positivi sono per lo più asintomatici e che, pertanto, non vi sarebbe pericolo. Sul punto, va evidenziato che anche all’esterno del carcere la maggior parte dei contagiati sono asintomatici, eppure non sembra che il Governo abbia dichiarato la fine dell’emergenza epidemiologica. “Le Autorità Giudiziarie – continua il comunicato – non stanno mettendo in campo tutti gli strumenti che già hanno a disposizione per sfoltire la popolazione carceraria in modo da rendere la detenzione compatibile con le istanze di tutela della salute di chi è ristretto negli istituti di pena. La porta di ingresso al carcere è ancora troppo grande rispetto alla piccola porta ‘socchiusa’ che dovrebbe consentire la liberazione di un numero di detenuti sufficiente affinchè si ripristinino i requisiti minimi di sicurezza all’interno degli istituti. A Napoli si registra una situazione catastrofica. Vi è ancora l’emissione (seppur ridimensionata) di ordini di carcerazione e l’applicazione di misure cautelari intramurarie che incidono sull’aumento della popolazione detenuta a fronte di una scarsa attività della Magistratura di Sorveglianza Partenopea che – specialmente in questo drammatico momento – avrebbe dovuto ancor più concedere ai detenuti, che ne hanno diritto, sia le misure alternative alla detenzione predisposte dal Governo per il periodo emergenziale sia i benefici penitenziari “ordinari” previsti dall’Ordinamento Penitenziario”.
“Per questo chiediamo che: – venga bloccata l’emissione di nuovi ordini di carcerazione; – il ricorso alla misura cautelare della custodia intramuraria sia limitata ai casi più gravi; – il Tribunale di Sorveglianza si attivi affinché si trattino il maggior numero possibile di procedure relative a detenuti intramurari ai quali concedere una misura alternativa che consenta una rapida uscita dal carcere. Sappiamo che l’ art. 30 del c.d. Decreto Ristori non ha prodotto alcun risultato, perlomeno nelle carceri napoletane. Nel carcere di Poggioreale, infatti, non si registra alcuna uscita legata all’applicazione di questa norma e dal carcere di Secondigliano un solo detenuto pare ne abbia beneficiato, ma soltanto formalmente, giacchè è ancora in attesa del prezioso braccialetto elettronico. La pandemia, qualora ve ne fosse bisogno, evidenzia e rende drammatico il sovraffollamento strutturale dei nostri istituti di pena ed è per questo che, contestualmente all’utilizzo delle misure di pronta applicazione (tra le quali le immediate 3 concessioni di detenzioni domiciliari per tutti i detenuti malati o comunque affetti da patologie particolari che in caso di contagio sarebbero esposti ad un grave rischio per la propria vita), appare necessario aprire un tavolo di discussione che abbia come obiettivo la ricerca di tutti gli strumenti possibili che consentano di risolvere definitivamente il problema del sovraffollamento del carcere. Non abbiamo timore a dire che questi strumenti sono in primo luogo l’amnistia e l’indulto”.
Per tutte le ragioni esposte, il direttivo del Carcere Possibile Onlus, insieme a tutte le realtà che gravidano intorno agli istituti di pena che vorranno aderire, ha proclamato una giornata di protesta in data 25 novembre 2020 dalle ore 11.30, presentandosi all’esterno del Carcere di Poggioreale e del Tribunale di Napoli a Piazza Cenni, per chiedere ai capi degli uffici indicati di chiudere il Portone d’ingresso degli istituti penitenziari partenopei ed aprire la porta d’uscita.
Il Carcere Possibile Onlus