Nel 2000 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 18 dicembre Giornata internazionale per i diritti dei migranti. Dieci anni prima aveva approvato la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
La scintilla si è innescata nel 1972 quando un camion che avrebbe dovuto trasportare macchine da cucire ha un incidente sotto il tunnel del Monte Bianco nel quale perdono la vita 28 lavoratori originari del Mali. Nascosti nel camion, viaggiavano da giorni verso la Francia alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. La notizia della tragedia induce le Nazioni Unite ad occuparsi delle condizioni dei lavoratori migranti.
Sul sito delle Nazioni Unite si legge un pensiero del segretario generale Antonio Guterres: “In questa Giornata internazionale dei migranti, cogliamo l’opportunità della ripresa dalla pandemia per attuare il Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare, reinventare la mobilità umana, consentire ai migranti di riaccendere le economie in patria e all’estero e costruire società più inclusive e resilienti”.
La nostra Caritas Diocesana, nella sua esperienza vuole essere una casa di accoglienza, una casa con finestre aperte sul mondo, un crocevia, un luogo di incontro, di dialogo, di conoscenza reciproca. Vuole essere un luogo dove condividere la speranza, il sogno di un mondo più fraterno. Questa scelta di fondo, questa accoglienza diventa anche un modo per porre dei segni, per trasmettere un messaggio. Uno di questi segni è l’Opera Segno “Il Ponte” che vuole essere un appello concreto alla comunità, alla società, affinché diventi un luogo capace di accogliere le persone.
Eravamo pronti per l’accoglienza di una famiglia dai campi profughi dell’Etiopia. L’accoglienza era prevista per i primi giorni di dicembre, poi una telefonata della responsabile della Comunità di Sant’Egidio che si occupa di incontri e di colloqui nei campi in Etiopia e della procedura dei corridoi umanitari, visto il peggioramento drammatico delle condizioni di vita anche nel paese che li aveva accolti, a causa del conflitto civile che in questi mesi sta insanguinando l’Etiopia, ci chiede la possibilità di anticipare l’accoglienza.
Sono arrivati senza rischiare la vita prima nel deserto e poi in mare. Questo è stato possibile grazie a un Protocollo d’intesa con lo Stato italiano, firmato nel 2019 dalla Conferenza episcopale italiana e dalla Comunità di Sant’Egidio, della Caritas italiana e della comunità Valdese che prevede l’arrivo di persone vulnerabili con i corridoi umanitari.
Così il 13 novembre ci siamo recati a Roma per accogliere una famiglia di sette persone: la mamma Mibrak di 37 anni, Lulya di 18 anni con il suo piccolo bambino Jon di 1 anno e mezzo, Mikal di 16 anni, Melat di 12 anni, Naod di 10 anni, Merhawi di 8 anni. Sono atterrati a Fiumicino con un volo di linea dell’Ethiopian Airlines da Addis Abeba. In tutto erano 63 i richiedenti asilo in fuga dalla dittatura di Isaias Afewerki.
L’attesa della loro accoglienza è stata accompagnata da grandi emozioni che lasciano un segno indelebile nel cuore di chi le vive. Abbiamo seguito il viaggio attraverso l’invio delle foto che i membri della Comunità di Sant’Egidio ci inviavano e così abbiamo potuto partecipare a distanza alle varie tappe del viaggio. Ogni foto condivisa aumentava in noi il desiderio dell’incontro. Un desiderio che si è tramuto in gioia al momento dell’incontro.
Eravamo in tanti, provenienti da diverse regioni italiane, membri di Caritas, parrocchie, associazioni, fuori all’uscita T3 dell’aeroporto, nell’attesa di accogliere questi nostri fratelli. Tra noi anche alcuni familiari dei fuggiaschi, da tempo residenti nel nostro Paese, in qualche caso già cittadini italiani.
Grande emozione e grande gioia quando abbiamo visto uscire i nostri amici dalla porta. I nostri sguardi accoglienti, desiderosi di abbracciarli uno ad uno, di prenderli per mano, di accompagnarli in questo nuovo cammino, hanno incontrato i loro sguardi meravigliati, smarriti, emozionati, colmi di attese. Davvero c’è stato motivo per loro di credere che una famiglia, una nuova grande famiglia, li stesse attendendo.
Dopo i quattordici giorni di quarantena previsti e dei vari controlli anti-covid, hanno tutti subito iniziato il loro percorso per avere i documenti e hanno iniziato a frequentare la scuola. È straordinario vedere il loro desiderio di apprendere e la loro voglia di integrarsi. Bella e significativa è stata anche l’accoglienza da parte di tutti. È meraviglioso vedere quotidianamente il loro cammino proseguire nella semplicità, nella gioia, nella voglia di apprendere. È meraviglioso vedere come ognuno di loro man mano lascia uscire fuori i preziosi doni che portano in sé: capacità, virtù, intelligenza, ricchezze, potenzialità infinite.
Continuiamo a vivere, insieme a collaboratori e volontari, questo cammino con la gioia che nasce dalla consapevolezza di avere accettato l’assunzione di una responsabilità. La responsabilità di accogliere e custodire la vita, i sogni e i desideri di questa giovane famiglia fuggita dalla dittatura dell’Eritrea e partiti da un campo profughi dove non era possibile immaginare un futuro. Gioia grande, e per questo motivo di festa, poiché ci rendiamo conto di essere custodi delle loro giovani vite e allo stesso tempo della nostra umanità.
sr Rossella D’Aniello