L’incontro di formazione organizzato dalla nostra Caritas Diocesana ha avuto inizio con una preghiera di invocazione allo Spirito che ha visto tutti uniti in un corso solo e un’anima sola nel chiedere allo Spirito di Dio di inondare della sua luce la nostra vita affinché ci introduca alla verità di Dio unico Signore della nostra vita.
L’incontro è stato svolto nella Concattedrale di Castellammare. In tanti hanno risposto all’invito per riflettere insieme sul tema “Amare e servire… Amare è servire… il potere di un accento”, guidati dalla relatrice Lidia Maggi: credente, teologa e biblista, moglie e madre, pastore della Chiesa Battista e testimone per il suo impegno per far conoscere la Scrittura e servire nella comunità per educare e formare ogni persona al dialogo ecumenico, per la cura alle singole persone in ricerca che ospita nella sua casa insieme al suo marito.
Don Mimmo introducendo l’incontro ha sottolineato: “È lo Spirito del Risorto che ci ha convocati per fare esperienza della bellezza e della sua Parola poiché ci fa vivere la ricchezza della fraternità”. Ha passato poi la parola a suor Monica vicedirettrice della Caritas diocesana e referente della Promozione Caritas, la quale ha spiegato che l’incontro, inizialmente rivolto alle Caritas parrocchiali, è stato allargato a tutti perché tutti nella vita, in diversi modi, siamo chiamati a prenderci cura di qualcuno. Citando l’articolo 1 dello statuto Caritas che definisce l’identità della Caritas, suor Monica ha precisato: “Questo incontro di formazione vuole evidenziare queste attività di promozione e animazione della carità di tutta la comunità, perché servire, avere particolare attenzione agli ultimi, è un compito di tutti”.
Ha preso poi la parola Lidia Maggi: “Come Abramo, questa tenda si è allargata. È bello vedere questa Concattedrale così piena, così ricca”. Lidia ha evidenziato l’intenzione della Scrittura di mettere in tensione i punti di vista che chiamano in causa anche i nostri cuori. Ha evidenziato la Sapienza biblica che ci invita ai confronti, alle tensioni, alla dialettica, alla sinodalità, anche per l’amore e il servizio. Partendo dalla storia degli schiavi in Egitto, che hanno vissuto un processo di liberazione, un lungo cammino durato quarant’anni per poter servire Dio, ci dice che si giocano due tipi di servizio dove c’è una trasformazione, un passaggio, da un servizio alienante ad un servizio liberante. Il popolo non è liberato per sé stesso ma per servire Dio. Il servizio è ciò che dà senso alla nostra vita. C’è un servizio che ci aliena è un servizio che ci libera, c’è un servizio che ci schiaccia e un servizio che ci mette le ali.
Due domande hanno accompagnato i vari passaggi che abbiamo ascoltato nella riflessione: “Perché lo fai?”, “Chi servi?”. Tutto si gioca su queste due domande. Siamo chiamati a passare da una condizione di schiavitù ad una condizione di servizio che ci permette di chinarci su chi è ancora nelle catene proprio perché abbiamo conosciuto la liberazione. “È l’aver sentito l’Amore di Dio che ci ha risollevati, riconosciuti, risuscitati a permetterci di porci al servizio di Dio chinandoci verso chi è ancora nei morsi delle catene, in ostaggio del potere brutale del faraone ed ha bisogno di essere sciolto” ci ha detto Lidia.
Lidia ha sottolineato che chi si mette a servizio di una comunità è qualcuno che ha vissuto un’esperienza di liberazione sempre! Solo se abbiamo fatto un’esperienza libera nella quale abbiamo conosciuto quel Dio che ci ha alzato in Gesù, che ci ha preso per mano, ci ha risollevato dandoci la dignità di figli allora siamo chiamati a servire. Se nessuno ha rotto le catene che ci impediscono di rialzarci, se siamo ancora incatenati finiamo per strumentalizzare il servizio e volere che sia il servizio a liberarci dalle catene ma questo non funziona. Dietro il servizio verso gli ultimi c’è sempre un’esperienza di liberazione ha evidenziato la Maggi: “Può servire soltanto colei, colui che è stato guarito, il guaritore ferito, chi ha conosciuto i segni delle catene e ne è stato risollevato, non può fare altro che mettersi al servizio della comunità”.
Il modo possibile per abbattere la povertà suggeritoci dalla Scrittura è la condivisione. Purtroppo, tutti noi, da sempre, abbiamo questa incapacità di condividere e viviamo una divisione tra quello che siamo e quello che vogliamo apparire. Dobbiamo prendere coscienza che il problema di una parte della comunità è problema di tutta la Chiesa. Siamo un corpo chiamato a sentire il dolore di chi soffre. Come Caritas, ci ha esortati Lidia, siamo chiamati a far sentire il dolore di chi aiutiamo, di chi custodiamo, a tutto il corpo che è la comunità. Se non c’è questo l’umanità è infranta.
sr Rossella D’Aniello