Mentre il mondo stava a guardare, è uno straordinario libro scritto da Silvana Arbia e pubblicato da Mondadori Strade Blu nel novembre 2011.
E’ il racconto di un magistrato italiano che dal 1999 si è occupata in prima linea, come procuratore per conto della Corte Penale Internazionale, del genocidio del Ruanda.
Silvana Arbia ci accompagna in un viaggio competente e preciso nell’inferno di quello che accadde nei pochi mesi che seguirono quel 6 aprile 1994, quando si scatenò la follia omicida che portò alla morte, a mezzo di colpi di machete e bastoni, quasi un milione di persone. Un viaggio parallelo a quello personale che la Arbia compie, quello di una donna magistrato che sceglie di andare in Africa (per oltre 100 mesi, come lei scrive) e ne coglie le genuine emozioni che la magnifica terra del Ruanda prima e della Tanzania dopo sono in grado di regalare. Mentre il mondo stava a guardare è un libro che si legge senza respirare, trascinati in un vortice di orrore per i fatti avvenuti, di stupende immagini che l’autrice riesce a trasmettere e di competente accusa verso chi poteva intervenire ed è stato a guardare.
Vorrei sottolineare alcuni passaggi di questo libro. Il primo è forse la motivazione più pura che ha spinto l’autrice a lasciare tutto ed ad andare in Ruanda. Lei scrive: “appurare i fatti, capire come siano potuti accadere, approfondire le motivazioni dei colpevoli, ascoltare i racconti dei testimoni, ovvero ristabilire la verità, significa restituire giustizia e dignità non solo alle vittime, ma a tutti gli uomini, nessuno escluso”. Un omaggio alla verità e alla giustizia, un modo per affermare il principio che nulla può passare senza una ferma condanna.
La Arbia, usa per quel che è accaduto in Ruanda, un terminologia tecnica che ben fotografa la complessa situazione, scrive infatti “una cosa è certa: tra aprile e luglio 1994 in quel paese si verificò il più grande blackout delle tutele civili e giuridiche mai avvenuto nella recente storia dell’umanità”. I racconti dei testimoni, e i successivi processi, confermano come nessuno abbia tutelato le vittime. Lo stato, le istituzioni religiose, l’esercito e i presidi sanitari sono stati complici, quando non diretti pianificatori, dell’orrore.
Il libro della Arbia è anche un percorso umano, denso di emozioni di fronte a racconti raccapriccianti della mattanza che avvenne in quei giorni, delle violenze, degli stupri e degli inganni. Un sentire che mai ha messo in crisi l’aspetto professionale e l’impegno straordinario che ella ha dato alla ricerca della verità. Confessa con molta onestà: “avevo avuto un momento di grande sconforto, e altri ancora sarebbero arrivati, ma ora sapevo che cosa dovevo fare: continuare come è più di prima, senza mai stancarmi”. A fronte di racconti dall’orrore inaudito, Silvana scrive: “a volte, mi accadeva di sperare che tutto ciò non fosse vero. Tale era l’immagine di inumanità che emergeva puntualmente da ogni singolo evento, circostanza e racconto, che per qualche istante cercavo di dimenticarmi chi ero e cosa stavo facendo. Nel segreto di me stessa desideravo con tutte le mie forze che fosse tutta un’enorme, assurda, crudele montatura. E invece, ogni volta dovevo subito ricredermi”, forse nel tentativo di trovare una soluzione ad un conflitto interiore che faceva perdere qualsiasi contatto tra la realtà di quei fatti e la bellezza dei paesaggi del Ruanda.
Il libro ruota intorno alla figura di una carnefice (“la prima è unica donna al mondo a essersi macchiata del reato di stupro di massa quale crimine contro l’umanità”), Pauline Nyiramasuhuko, al tempo del genocidio Ministro della Famiglia e della Promozione femminile, condannata all’ergastolo in primo grado il 24 giugno del 2011, e di cui la Arbia è stata principale accusatrice.
Silvana, come già fatto da altri, giunge alla fine all’amara conclusione che “dopo anni di discussioni e ricerche, oggi è assodato che le stragi del 1994 in Ruanda potevano essere evitate …… Mentre noi siamo rimasti a guardare”.
In questo libro Silvana Arbia ha messo in gioco tutta la sua competenza giuridica, tutto il suo coraggio, tutta la sua caparbietà e la grande passione per l’Africa che come lei scrive l’ha accompagnata fin dall’adolescenza. Vi è anche un capitolo del libro (il XIV) che Silvana dedica a Dian Fossey, la primatologa assassinata in Ruanda nel 1985. Un omaggio al coraggio di un’altra donna straordinaria, ma anche una lettura diversa della sua scomparsa e forse in continuità con quanto avvenuto, solo 9 anni dopo, nel paese e su cui per ora, nessuno ha indagato a sufficienza.
Sono convinto che Silvana Arbia sia una di quelle donne che dobbiamo tutti ringraziare per l’enorme contributo alla conoscenza (oltre che alla giustizia) su di un episodio che l’intera umanità porterà a vita sulla propria coscienza.