Questo secondo giorno di convocazione di Migramed 2025 ci ha condotti a guadare da vicino “le Migrazioni nel Mediterraneo”, in un contesto globale con Cecilia Nicoletti di Caritas Internazionalis e con un attendo sguardo sulle numerose “Rotte Mediterranee” con Oliviero Forti di Caritas Italiana.
Il Mediterraneo non è solo un mare ma è “un Continente” poiché è luogo di incontri di civiltà diverse, di culture diverse, di piccole e grandi speranze, di mobilità umana, di possibilità di grandi cambiamenti e trasformazioni.
Oggi viviamo in un mondo frammentato, ricco di tensioni, con 56 guerre causate da poteri inumani,
con lo sguardo avido in cerca di interessi economici che crescono nella vita di pochi e bussano alle porte della storia, rendendo sempre più inumana la vita.
È tempo in cui nel mediterraneo si sono affacciate, con prepotenza e bramosi di grandi poteri, altre nazioni come la Turchia, la Cina, l’Iran, l’India, Israele… e vogliono mutare tutta la geopolitica del sud del mondo con le armi, addirittura con la folle minaccia atomica.
In questo drammatico contesto l’immigrazione che nasce dalle povertà, dalle guerre, dalla crisi climatica, dalle crisi delle democrazie e dall’esercizio quotidiano della violenza che diventa metodo politico, si moltiplica sempre più. Nello stesso tempo la ferrea e violenta protezione dei confini nazionali, con roboanti accordi politici tra nazioni ricche e povere, fanno sì che su quasi tutte le Rotte del Mediterraneo il flusso dei migranti sono notevolmente diminuiti: hanno ucciso sul nascere i viaggi della “speranza” ed è cresciuta notevolmente l’immigrazione interna al continente Africano.
Dunque, non una politica di accessi sicuri verso l’Europa ma una pseudo-sicurezza realizzata con la forza. Si alzano altri muri che respingono l’umanità più povera.
Cosa fare in uno scenario così complesso?
E necessario, oggi più di ieri che tutte le organizzazioni umanitarie devono lavorare in Rete, agire insieme, lavorare per un cambio culturale e spirituale, educare ai processi di cittadinanza e solidarietà, fare opinione, informare, promuovere modelli profetici di umanità entrando in quelle strutture internazionali che contano perché possa sempre più maturare una visione dove la mobilità umana non è da considerarsi un pericolo, ma una grande opportunità per tutti: l’immigrato non è beneficiario di elemosina ma è portatore di istanze di una nuova umanità.
Altri relatori ci hanno presentato la situazione politica e umana di alcune nazioni del Mediterraneo: Israele, Turchia, Siria, Libia, Libano, Cipro e dopo aver presentato la drammaticità della vita dei popoli di queste nazioni segnate da guerre, violenze, da povertà, hanno sottolineato che gli impegni di Caritas in questi luoghi sono sempre vissuti nella trilogia: assistenza Umanitaria, impegno nello sviluppo, educazione nella pace e alla pace.
Questi tre elementi devono sempre viaggiare insieme perché gli atti di solidarietà e l’impegno per costruire insieme storie ricche di umanità non siano solo sostegno ma anche crescita di responsabilità per costruire insieme uno sviluppo comunitario attraverso un costante impegno per costruire la pace.
Nel pomeriggio tutte le analisi, le realtà vissute dai poveri, le violenze diventate sistema in tante parti del mediterraneo e presentate in mattinata, sono state illuminate attraverso dei grandi testimoni: Alessandro Codorin, Davide Chiarot di Caritas Italiana, Alganesh della fondazione Gandhi e Alessandra Morelli già funzionaria dell’ONU.
Questi sapienti testimoni hanno raccontato l’impegno umanitario concreto della loro vita e delle istituzioni a cui appartengono, a servizio di quella umanità segnata da gravi violenze e ferite. L’incontro con i rifugiati, i violentati, gli schiavi, gli affamati dei numerosi campi nel deserto del Sinai, nei campi in Etiopia, in Turchia, in Libia, in Libano, in Giordania, in Siria… li ha condotti, anche a rischio della loro vita, a grandi cambiamenti. Spesso li hanno sepolti dignitosamente, liberati da carnefici, sanati nel corpo e nei sentimenti, riabilitati nella loro vera umanità.
Segnati tutti in modo diverso dalla Speranza di un cambiamento e di una trasformazione anche attraverso il loro fraterno impegno e quello di tanta parte del volontariato e della società civile. Questi maestri e amici ancor più hanno detto con pura sensibilità che la speranza l’hanno imparata dagli sfruttati e sofferenti e dai rifugiati perché pur nella loro drammaticità sapevano attendere, non mollavano ma continuavano a lottare e sperare: loro sono i custodi della Speranza. “Molti rifugiati ci narravano la forza del loro credere poiché di fronte a grandi problemi ci hanno testimoniato una grande fede affermando: Dio non ci abbandonerà”.
Direttore Don Mimmo Leonetti