Il 24 marzo di 42 anni fa veniva assassinato Mons. Oscar Romero l’arcivescovo di San Salvador. Nel febbraio del ’77 venne nominato Vescovo dell’arcidiocesi da Paolo VI, in quel tempo nel paese infieriva la repressione sociale e politica causata da una dittatura militare. Il Paese era in preda a una terribile guerra civile, che avrebbe fatto 80mila morti su quattro milioni di abitanti, segnata dalla presenza di una destra sanguinaria che finanziava gli “squadroni della morte” per assassinare gli oppositori.
Mons. Romero iniziò il suo lavoro con passione. Era un pastore che aveva a cuore il suo popolo. Possedeva il carisma della parola e della predicazione. Vedeva l’ingiustizia sociale del Paese, l’amara condizione dei salvadoregni, gli effetti della miseria sulla salute dei contadini. Si schierò per la giustizia, per una migliore distribuzione delle ricchezze.
Ampia ed efficiente fu la sua attività in favore della giustizia sociale, non ignorava affatto gli eventi tragici e sanguinosi che interessavano la gente. Diceva, infatti: “Nella ricerca della salvezza dobbiamo evitare il dualismo che separa i poteri temporali dalla santificazione” e ancora: “Essendo nel mondo e perciò per il mondo (una cosa sola con la storia del mondo), la Chiesa svela il lato oscuro del mondo, il suo abisso di male, ciò che fa fallire gli esseri umani, li degrada, ciò che li disumanizza”.
Davanti a qualsiasi tipo di violenza chiedeva con fermezza il rispetto delle leggi. I suoi oppositori, dopo aver tentato invano di farlo destituire da arcivescovo, gli aprirono la strada verso il martirio. Romero sapeva di essere in pericolo, ma restò con il suo popolo. Nei suoi discorsi mise sotto accusa il potere politico e giuridico di El Salvador. Istituì una commissione permanente in difesa dei diritti umani. Non è un caso che nel 2010 le Nazioni Unite abbiano istituito il 24 di marzo come Giornata Internazionale per il Diritto alla Verità.
Una certa chiesa si impaurì allontanandosi da Romero e dipingendolo come un incitatore della lotta di classe e del socialismo. In realtà Romero non invitò mai nessuno alla lotta armata, ma, piuttosto, alla riflessione, alla presa di coscienza dei propri diritti e all’azione mediata, mai gonfia d’odio.
Dal 1977 al 1980 si alternarono i regimi ma non cessarono i massacri: il 24 marzo 1980 Oscar Romero la “voce dei senza voce” venne assassinato proprio nel momento in cui stava elevando il Calice nell’Eucarestia. Le sue ultime parole erano ancora per la giustizia: “In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo ed il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella speranza”.
Oscar Romero è un “santo universale”, col suo carisma si dirigeva a tutti, nelle parole e nella pratica; infondendo speranza e dignità anche ai più diseredati. È una figura universale che va oltre le fedi, e credenti e non credenti. Una personalità storica della stazza di Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela.
Romero era uomo di pace. Disse un giorno: “Se Cristo avesse voluto imporre la Redenzione con la forza delle armi o con quella della violenza non avrebbe ottenuto nulla. È inutile seminare il male e l’odio”. Mons. Romero è martire per la giustizia e per i diritti, un esempio tanto più necessario oggi, nel nostro mondo pieno di contraddizioni, odio, violenza e violazioni dei diritti umani.
È un Santo che ci apre alla conversione e all’autenticità: “Uno non deve mai amarsi al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già perso la propria vita”.
Fare memoria di Romero per la nostra Caritas Diocesana ha un grande valore spirituale e pedagogico: in lui leggiamo la vocazione educativa della Caritas come esperienza cristiana di servizio ai poveri.
Romero ci ricorda che non è sufficiente donare ma è necessario chiedersi “perché ci sono i poveri”, “quali sono i diritti a loro negati”, “come mettere in movimento la parola e le azioni per ristabilire giustizia in un mondo spesso poggiato sull’ingiustizia”. Noi come Caritas abbiamo il dovere cristiano e morale di essere “voce dei senza voce”.
sr Rossella D’Aniello