Continuano i nostri incontri di formazione in Caritas e il terzo appuntamento ha visto come relatrice la dott.ssa Alessandra Rosa Rosa, operatrice del Centro di Ascolto della nostra Caritas Diocesana e conduttore gruppi di svincolo per le dipendenze patologiche.
Il tema che abbiamo approfondito è: “Il cantiere dell’ascolto nella relazione d’aiuto”. Alessandra con la sua esperienza professionale ci ha accompagnati nell’addentrarci nel tema a lei affidato dicendo che l’ascolto è un’arte e per ogni arte c’è un talento e una competenza da esercitare.
Ha subito coinvolto i presenti con una domanda in apparenza semplice: “Cos’è per te l’ascolto…?” Le risposte sono state varie, ognuno secondo la propria sensibilità, esperienza. Questa domanda ha suscitato in noi la consapevolezza che ognuno ha una visione un pò parziale dell’ascolto.
Alessandra ci ha descritto diverse modalità e diversi tipi di ascolto: l’ascolto statico, che è una modalità passiva; l’ascolto dinamico che è più partecipato, comprende una serie di informazioni e domande, c’è in questo tipo di ascolto una stimolazione dell’altro che narra anche la propria storia.
Alessandra ha sottolineato che è necessario che l’ascolto sia circolare. Importante, efficace è l’ascolto empatico attivo che consiste nel fare attenzione a ciò che l’altro dice, a ciò che l’altro prova, ma anche a ciò che prova chi ascolta. “Chi lavora con persone con problemi deve sapere quali sono i propri limiti”, questo comporta che chi ascolta deve conoscere sé stesso. In questo tipo di ascolto bisogna fare attenzione alle parole e ai sentimenti.
È indispensabile per l’ascolto avere un setting, un contenitore nel quale avvengono gli scambi, una cornice entro la quale si fissano dei presupposti per svolgere un processo terapeutico. “Un ascolto che si rispetti – ha proseguito Alessandra -, deve avere due cose fondamentali: il tempo e l’obiettivo, è importante che chi ascolta si chiarisca cosa vuole ottenere e in quanto tempo”.
Ci ha presentato le tecniche e gli strumenti dell’ascolto che sono i bisturi da utilizzare per operare: l’ancoraggio, come la preghiera e meditazione, una carezza, degli oggetti, il distacco da cose e pensieri personali, il ruolo da affermare; il presentarsi e il chiamare per nome chi si ascolta, questo dà non solo dignità ma indica il riconoscimento dell’altro; l’osservazione di sé e dell’altro che è la comunicazione non verbale e la metacomunicazione e i movimenti inconsci; la riformulazione che è ripetere con parole simili ciò che l’altro ha detto; il responso empatico che è comprendere e rimandare ciò che l’altro sente.
Nell’ascolto bisogna porsi una domanda ha sottolineato Alessandra: “Io come mi sto comportando in questo ascolto?”. L’ascolto è una relazione. È importante che in questa relazione l’operatore sia autentico. L’ascolto è un viaggio che si fa insieme verso una direzione comune.
Al termine dell’approfondimento del tema avvenuto in modo coinvolgente e dinamico, Alessandra ha proposto una simulazione di ascolto che ha visto coinvolte due volontarie dei centri di ascolto parrocchiali e il dottor Fusco nelle vesti di un signore che chiedeva aiuto.
Al termine della simulazione Alessandra ha evidenziato, considerando i vari atteggiamenti e come le persone coinvolte nell’ascolto si sono sentite, che “Noi possiamo accompagnare le persone dove vogliono andare. Non possiamo portare le persone dove non vogliono andare” e che “Provare a mettersi nei panni dell’altro si può fare ma bisogna rimanere con i piedi nelle proprie scarpe”.
sr Rossella D’Aniello