Nembaje: la Principessa Ciadiana

Nella regione del Logone Orientale, al Sud del Tchad, nella zona dove abitiamo, al termine “donna”, viene attribuito spesso l’aggettivo “Nembaje”, che in lingua locale Ngambay significa Principessa. Bello, vero? Ma, in verità, altrettanto sorprendente, almeno per i nostri occhi occidentali, che guardano di solito alla realtà africana con una certa “pena nel cuore”!
Nembaje in realtà ci sconcerta: in effetti, le radici della sua “misteriosa regalità” si rendono a noi spesso inaccessibili, come se Nembaje amasse restare trincerata dietro la sua fortezza d’avorio, protetta dalla sua cultura tradizionale, che con questo termine ama incoronare e allo stesso tempo proteggere la sua Principessa da sguardi troppo indiscreti.
Anche a me, che vivo qui da diversi anni, sfuggono ancora molte cose, ma resto in ascolto, resto ad osservare, felice di farmi sorprendere dai significati nascosti che spesso “la diversità” porta con sé, una diversità non sempre pronta a rivelarti i suoi segreti, solo perché chiedi: “ma perché fate così? Ma che significa questo?”.
Ogni popolo e ogni cultura ha un suo pudore da difendere, che chiede rispetto, tempi lunghi e fiducia … prima di diventare apertura e conoscenza reciproca. Ed è così, cara amica e sorella ciadiana, dal volto spesso decorato dai segni iniziatici fin dalla fanciullezza, e dagli occhi grandi come il sole, che quando ti incontro, e mi saluti facendomi una grande riverenza che mi imbarazza, e senza osare guardarmi negli occhi mi dici “Lapia, pace a te”, non vedo una principessa … ma forse mi sbaglio!
E quando mi inviti a casa tua per chiacchierare un po’ (almeno così penso io) e celebrare la nostra amicizia con la tradizionale condivisione del pasto, e poi mi ritrovo da sola a mangiare con tuo marito e altri della famiglia e tu resti nascosta dietro il seko di paglia, gioiosa solo di aver preparato  “la souce longue”, la salsa speciale per l’ospite d’eccezione, e perché gli etrangers, gli stranieri, hanno onorato la tua concessione e la tua cucina, non mi sembri proprio una principessa … ma forse mi sbaglio!
E quando corro veloce con la mia Toyota sulle tue strade rosse di terra, o adesso asfaltate, grazie a qualche residuo di petrolio che la Esso ti ha lasciato, e ti intravedo già da lontano, portando lunghi tronchi di legno sulla testa e sento già male al mio dorso, e avvicinandomi scopro che non trasporti solo la legna, ma anche il tuo instaccabile bambino, e ancora una grande quantità di miglio, sempre sulla tua testa forte, che sembra sollevare il mondo, non mi sembri una principessa, … ma forse mi sbaglio!
E ogni giorno al grande mercato, quando ti trovo per ore, sotto la calura che rende la tua fronte brillante di luce, accovacciata sulla stuoia accanto alle tue compagne, colorate e velate come te, tra montagne di spezie, manioca, arachidi e cereali, e sorridi, e mi chiami “nazara! Nazara!”, non mi sembri una principessa, … ma forse mi sbaglio!
E quando, al far della sera, al villaggio sono tutti rientrati nella concessione per riposarsi, per te c’è ancora lavoro: la preparazione del pasto serale, l’acqua calda per i bambini e per tuo marito che rientra dal campo, e tu ancora lì, con le mani nel fuoco perché la polenta sia calda e buona, e faccia fare sogni tranquilli ai tuoi cari, non mi sembri una principessa, … ma forse mi sbaglio!
Ma quando è festa, quando si balla, e si celebrano le ricorrenze nel villaggio e si vuole esprimere la gioia, che sia per la domenica, per la nascita di Maometto o per la luna piena, e ti vesti con la tua pagne elegantissima, e i tuoi capelli sono diventati una corona di trecce e di arte, e lanci nel cielo stellato il tuo “Yhuu yhuu”, il grido di esultanza che solo tu sai e puoi fare, che è lode al creato, giubilo che ti accompagna nella vita quotidiana, concepita come dono di te, rispetto dell’altro, servizio d’amore umile, accoglienza della vita senza riserve, calorosa ospitalità, fortezza nel lavoro manuale … sì, amica mia, misteriosa Principessa, allora comprendo perché ti si chiama Nembaje, elevandoti a un titolo che solo chi penetra in punta di piedi e senza pregiudizi questa profondissima realtà africana può cominciare ad intravedere!
Donna ciadiana, della quale ancora dobbiamo capire molte cose, svelati a noi, facci capire il palpito che ti anima, portatrice di vita aprici di nuovo alla dignitosa grandezza della maternità, al gusto del servizio, alla deliziosa riverenza per lo straniero, alla nobiltà dell’accoglienza senza orari, alla generosità sottile e silenziosa che ti fa donna e Principessa nella fortezza d’avorio della tua Grande Umanità, dove senza più indugiare vorremmo mettere … almeno un piedino!!