Il cantiere dell’incontro oltre il nostro orticello

Non poteva iniziare diversamente questo nostro quarto incontro di formazione… Ci siamo fermati, abbiamo fatto silenzio e abbiamo insieme ricordato le vittime del naufragio sulla spiaggia crotonese di Cutro. Quelle vittime sono nostri fratelli. Non possiamo e non dobbiamo restare indifferenti! Con una preghiera silenziosa che è sfociata nell’elevare a Dio nostro Padre il Padre nostro, abbiamo ricordato ciascuno di loro ma anche tutti coloro che sono chiamati a trovare delle valide e umane soluzioni affinché cessino queste tragedie disumane.

Dopo una breve introduzione del direttore Don Mimmo che ha sottolineato come il nostro incontrare non riguarda solo coloro che ci vivono accanto o coloro che incrociamo nel nostro cammino ma è anche un allargare lo sguardo sul mondo, abbiamo dato inizio alla riflessione sul tema previsto: “Il cantiere dell’incontro oltre il nostro orticello”.

Come cristiani, come operatori e volontari Caritas, siamo chiamati ad una missione, quella di promuovere un atteggiamento aperto al mondo e alla pluralità delle culture che lo abitano, valorizzando l’esperienza dell’incontro e dello scambio. È fondamentale, è essenziale questo sguardo aperto sul mondo per ricordarsi di essere sempre parte di un tutto che ha bisogno anche della nostra attenzione, della nostra cura, della nostra solidarietà.

Dopo che i partecipanti hanno espresso il loro pensiero sulla realtà dell’immigrazione, abbiamo tracciato le linee guida di questo nostro incontro facendo riferimento a tre versetti della Scrittura: “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9); “ero forestiero e mi avete ospitato…” (Mt 25, 35); “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Ci siamo soffermati sulle cause della migrazione e sui diritti e la libertà di emigrare. Considerato il dramma di molti migranti morti nel Mediterraneo e attraverso i Balcani, è stata presentata la nostra esperienza di una migrazione sicura e regolare attraverso i Corridoi Umanitari. Questo è un progetto che ha avuto inizio il 15 dicembre 2015, è un Protocollo d’intesa tra la Federazione delle Chiese Evangeliche, la Tavola Valdese, la Comunità di Sant’Egidio, la Cei-Caritas e il governo italiano.

La nostra Caritas Diocesana fa la scelta di fondo di un’accoglienza che vuole porre dei segni e trasmettere un messaggio. Uno di questi segni è l’Opera Segno “Il Ponte” che vuole essere un appello concreto alla comunità, alla società, affinché diventi un luogo capace di accogliere le persone.

Una carrellata di immagini e notizie, hanno descritto le accoglienze avvenute dal febbraio 2018 ad oggi dai campi profughi dell’Etiopia. Questo tipo di accoglienze sono un grande progetto di accompagnamento costante e quotidiano perché le persone con storie terribili e sofferenze spesso impensabili possano essere accolte, protette, promosse, integrate.

Attualmente accompagniamo e abbiamo cura di una famiglia di sette persone: una mamma, cinque figli di cui la prima a sua volta madre. Oltre a provvedere per l’iter giuridico per avere il permesso di asilo, i vari documenti personali, l’assistenza sanitaria, si accompagna la famiglia nell’esperienza dell’inserimento nella società, nel mondo delle relazioni, della scuola, del lavoro, dello sport.

È meraviglioso vedere come ognuno di loro man mano lascia uscire fuori i preziosi doni che portano in sé: capacità, virtù, intelligenza, ricchezze, potenzialità infinite. Questa modalità di accoglienza si focalizza sull’individuo e come ben sappiamo ognuno di noi è diverso dall’altro. È un’accoglienza mirata sulla persona e sul nucleo familiare. È accompagnarli a crescere e a diventare autonomi. È un’accoglienza che tesse relazioni quotidiane colme di attenzione, cura, accompagnamento e fratellanza.

Abbiamo concluso l’incontro leggendo una lettera scritta da Tesfalidet Tesfom, un migrante eritreo, sbarcato nel porto di Pozzallo il 12 marzo. Il medico del Ministero della Salute, che l’ha visitato appena sbarcato ricorda: “Riusciva a malapena a camminare, l’ho dovuto prendere in braccio. Gli ho chiesto perché era in quelle condizioni e lui ripeteva Libia, Libia”. La lettera si intitola: “Non allarmarti fratello”. Una lettera che ha suscitato commozione e alcune riflessioni.

Vi invito a leggere e a meditare questa lettera. Non possiamo e non dobbiamo voltarci dall’altra parte! Siamo tutti fratelli!

suor Rossella D’Aniello